Attivazioni Biologiche

Compagno di viaggio

Per chi frequenta questo sito, uno dei problemi più seri è il cercare di capire cosa fare in caso di conflittualità recidivante, di pensiero fisso al proprio guaio, di ricaduta nello stesso baratro. I conflitti recidivi sono quelli che avviano continuamente i processi SBS che influenzano la vita in modo talora drastico.
Anche il trovare un personaggio che possa aiutare nell'uscita da questi loop conflittuali è un problema sentito. "A chi mi rivolgo?" è la domanda che mi viene posta di frequente.
Io non sono un terapeuta, anche se è mia intenzione cercare di divenire una figura di accompagnamento per chi vuole, ripeto VUOLE, intraprendere il percorso verso la "guarigione", ammesso e non concesso che in tema di 5 Leggi Biologiche si possa parlare di guarigione.
La domanda che pongo a me stesso è proprio al riguardo della mia capacità di essere un accompagnatore. Me la pongo perché, come umano, posso aver bisogno io stesso di essere accompagnato. In fondo sono un umano, con la mia storia, con i miei vissuti e con i miei cancelli e difese. So anche che sono un infermiere, la figura che nell'immaginario comune è la figura principe in grado di osservare, valutare e accompagnare le persone verso una condizione di benessere se non completo, almeno accettabile ed in evoluzione.
Cercando nei libri ho trovato una cosa interessante che voglio condividere con i miei lettori.

Anzitutto chi ha intenzione di accompagnare la persona verso la salute non può e non deve incentrare la sua azione sul sintomo ma piuttosto sulla persona. Non si deve curare un sintomo (il singolo fotogramma), ma aiutare la persona a crescere, aiutare la persona a scoprire la propria capacità di autobilanciarsi e di divenire il regista del proprio life-movie (il film della propria vita). Non è una terapia "da mamme", ma un invito deciso alla persona ad usare la propria energia; non è utile usare l'energia dell'accompagnatore per camminare nella vita, quanto usare le proprie energie per farlo.
Chi accompagna può solo risolvere i suoi problemi, ma per ciò che riguarda la persona la può aiutare a trovare la forza per badare a se stessa. È evidente che ci sono situazioni in cui è necessario fornire più o meno sostegno e per questo è assolutamente necessario che l'accompagnatore sappia riconoscere quali siano i suoi limiti, indicando altri operatori (medici) in grado di far uscire la persona da condizioni di urgenza/emergenza.
Marco Pfister su questo è molto chiaro e condivisibile. Chi accompagna le persone nel percorso di riequilibrio e "guarigione" deve valutare la situazione di urgenza oggettiva e di urgenza soggettiva e lo può fare conoscendo la materia sanitaria.


Giorgio Beltrammi
Bio-Pedia Humana
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Nella maggior parte dei casi è necessario almeno inizialmente essere accoglienti, essere umani prima che accompagnatori, un ottimo consiglio nella vita in generale.
È altresì necessario apprendere che nelle sedute di accompagnamento non si deve cercare forzatamente di risolvere tutto, ma si deve lasciare spazio alla persona al fine di permetterle di trovare e applicare le sue soluzioni alla conflittualità, soluzioni che tra l’altro sono molto più durature.
È importante stimolare la consapevolezza della persona nei suoi tre ambiti: corporeo, emozionale e cognitivo. Può essere utile chiedere:
« Cosa provi in questo momento? Di cosa ti sei reso consapevole?».
Per approfondire la consapevolezza corporea si può invitare la persona ad osservare le percezioni corporee, a valutare la qualità della propria respirazione, la propria postura, le tensioni muscolari, le percezioni corporee estemporanee (fitte dolorose, pruriti incipienti, fastidi e così via).
Per ampliare la consapevolezza emotiva la si può invitare a riconoscere e osservare le emozioni del momento, senza restrizioni in merito ad ansia, paura, preoccupazione, tristezza, rabbia, vergogna e via di questo passo.
Per l'aspetto cognitivo e razionale si può invitare la persona ad osservare i pensieri che nascono e scorrono nella mente, magari invitandola a chiudere gli occhi per visualizzare meglio le immagini e i costrutti mentali che si creano. Se i pensieri ritagliano una figura specifica su uno sfondo, è interessante e utile aiutare la persona a definire tale figura, focalizzandosi quindi su un dato importante, il qui e ora.

Il successivo passo da fare, insieme alla persona, è quello di aiutarla a trovare una risposta funzionale ai problemi emersi.
È il caso quindi di introdurre il concetto di respons-abilità ovvero l'"abilità a rispondere". Questa abilità è per lo più determinata dall'avere ereditato e messo in uso modalità di risposta apprese da persone di riferimento (genitori in primis). Per la maggior parte delle persone la propria identità è basata su ciò che gli altri credono e pensano di loro. Ne deriva che nel rispondere alle cose della vita, queste persone applicano risposte che tendono a conformarsi con ciò che gli altri si aspettano da loro. Hanno quindi ereditato un modo di rispondere, ma non è funzionale a ciò che è in realtà necessario per affrontare il singolo problema del momento. La finalità principale dell'accompagnatore è di aiutare la persona ad uscire da questo circolo vizioso di domanda-risposta ereditata, cercando di indicare o suggerire alla persona modi diversi di rispondere al problema che, si badi bene, è vissuto dalla persona e non da chi gli ha insegnato a rispondere. In questo modo la persona può andare al di là delle sue fantasie fisse, bloccate dall’auto-definizione, riuscendo a scorgere una possibile soluzione al suo conflitto recidivante. La modifica della risposta comportamentale può così avere anche una modifica a livello corporeo. Per non parlare della modificazione della propria consapevolezza di se', potendo cessare di percepirsi malamente e affrontare la vita con una autostima rinnovata e incrementale. Insieme all'aumento della propria autostima, potrà godere di una maggiore libertà e della capacità di notare cose diverse e di provarne un gioioso stupore.
Le persone possono guarire quando recuperano la capacità di meravigliarsi, non dando più per scontato che le cose stanno in un certo modo.

Per poter aiutare la persona a sviluppare la sua capacità di risposta occorre osservare le sue interruzioni. Ad esempio se la persona prova l'impulso a fare o a dire una certa cosa, ma anche a pensare in un certo modo, interviene una “negazione” interiore che gli deriva dalle impronte familiari, dall'eredità responsiva di cui sopra, per cui scatta un allarme interno che interrompe l'atto o il pensiero volontario, sfuggito al rigido comportamento preimpostato. E allora la persona si ferma, si auto-interrompe. Occorre educare la persona ad uscire dalle proprie interruzioni pur mantenendo un comportamento socialmente accettabile e sopportabile.
Non è importante che si possa fare tutto in modo discreto e pacato, talora è utile lasciarsi andare e piangere, se ce n'è bisogno.
È importante osservare le interruzioni.

È importantissimo stabilire un contatto con la persona prima di iniziare a lavorare. Ha diritto di usare tutti i suoi sensi per capire con chi ha a che fare, deve poter essere convinto che si può fidare di chi lo accompagnerà in un viaggio talora ricco di sorprese ed handycapp. Ma c'è il rischio che la persona possa cercare di stabilire un rapporto di dipendenza. Inizierebbe di nuovo un cortocircuito di dipendenza simile a quella vissuta con chi gli ha insegnato a comportarsi automaticamente (papà e/o mamma). Si deve cercare di non produrre dipendenza.
Non è necessario vedere tutti i giorni la persona; chi lo fa cerca solamente di guadagnare più soldi. Non va dimenticato che la persona deve poter sperimentare l'evoluzione nella sua solitudine. La pappa fatta dall'accompagnatore è velenosa per chi è l'unico a potere/dovere fare qualcosa per se stesso. Si corre il rischio di rendere l'accompagnamento come una pillola, alla quale la persona crede di poter demandare la possibilità di guarire. Si deve mantenere un certo distacco e da infermiere lo so bene cosa voglia dire "prendersi a cuore" le sorti di un assistito. Persino in un ambiente freddo e tecnologico come la sala operatoria, il coinvolgimento può creare scompensi in chi ha un ruolo di supporto (vedi questo articolo).

Quando si raggiunge una certa confidenza e le emozioni si ravvivano, non è bene indicare alla persona cosa fare o non fare, cosa riferire e cosa non, mentre risulta essere più indicato lasciare alla persona la libertà di scegliere quando dire le proprie cose o se proseguire il percorso insieme. Offrire esplicitamente la propria presenza, non significa essere presenti fisicamente e una interruzione dell'accompagnamento non è indicativo di un fallimento; semplicemente la persona può aver deciso che le sue gambe sono sufficienti per percorrere il sentiero della sua vita.
L'empatia e la compassione sono importanti per capire a quale velocità procede la persona verso il suo futuro di benessere ed è necessario adeguare il passo dell'accompagnatore a quello della persona. Si chiede il permesso di entrare nella giornata della persona che ha chiesto aiuto; l'aver chiesto aiuto non significa consegnare le chiavi della propria vita a chi fornisce tale aiuto.

È importante considerare un meccanismo molto frequente: la demonizzazione immaginativa del proprio nemico (chi o cosa ha scatenato il conflitto e/o l'esito di tale conflitto - il cancro ad esempio), per cui la persona disumanizza il proprio nemico in una escalation che sembra non avere fine. Questa dinamica aumenta sempre più la rabbia e la paura, una emozione che devasta l'organismo e amplifica il rischio della sindrome del profugo.
È utile ricondurre la persona a scoprire il lato umano e biologico degli avvenimenti che lo coinvolgono. Va aiutata a cogliere le sfumature, a vederne altri lati, a diminuire la sua carica di odio e paura alleviandola, indicando le ragioni degli avvenimenti in atto. La persona deve essere invitata a vedere ciò che di immaginario deve essere allontanato, per radicarsi nella realtà dei fatti, in modo da allentare la tensione immaginativa e di paura.


Giorgio Beltrammi
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Ripeto, io non sono un terapeuta, sono solo un uomo che conosce delle cose e queste cose le offro a chi ne sente il bisogno, purché non chieda a me di percorrere la sua strada verso la riconquista della serenità e dell'ottimismo. Io posso fargli compagnia in questo percorso, posso sorreggerlo per quanto in mio potere, posso illustrargli le possibilità, posso fargli da Cicerone rispetto ai paesaggi che vedrà, ma chi ha il biglietto in mano per il viaggio è solo lui.

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