Attivazioni Biologiche

Conflitto da Diagnosi

19 novembre 2019
Perla saggia:
In medicina non è necessario
- e forse è dannoso -
essere troppo intelligenti.

Robert Hutchison
Per Terapeuti

La diagnosi è un enorme convincimento che proviene da un professionista verso il quale ci sentiamo decentrati, da qualcuno a cui diamo molta autorità; Non dubitiamo di ciò che ci dice (poliziotto, insegnante, medico, avvocato, amico, astrologo ...).
La diagnosi è un potenziale shock biologico. Non ne siamo protetti è una specie di fatalità. La persona è incapsulata nella sua diagnosi (specie quando il futuro è funestato da una disabilità o dalla morte). Ciò che ci colpisce è l'idea di diagnosi.

Diventiamo schiavi della persona che ci ha dato una diagnosi, gli diamo il potere...
Questo potere che diamo agli altri fa bene a loro.
Nel caso dello shock biologico, è qualcosa di cui la persona non è cosciente, ma nel caso della diagnosi, è come se fosse un burattino, una vittima della situazione ...
La persona in questo caso, non ricorderà ciò che ha detto al Dr. durante la sua visita di quel giorno, ricorderà semplicemente la diagnosi che gli ha dato, quindi entrano in gioco le due logiche, quella mentale e quella viscerale.
Attraverso la biodecodifica la persona riprende il potere su se' stessa e non consente ad un altro di avere quel potere su di lei.
La diagnosi induce a far si che nella persona si annidi una credenza (ci sono persone che non vogliono andare dal medico per paura di quella diagnosi).
Ad esempio: una donna con alcuni tumori migliora notevolmente rispetto ad alcuni di essi, tanto che si poteva dire che fossero guariti. La sua dottoressa, quando vide le analisi e le prove di queste guarigioni, le disse: «Ma non pensare di guarire, sebbene ti senta molto meglio!»
Un signore va dal medico e questi gli dice: «Ho il sospetto che si tratti di una lesione pre-cancerosa...» Quel signore pensò subito «Morirò!». L'impatto fu così forte che quella persona tornò a casa e si suicidò.
Una persona consulta vari medici per il suo malessere e riceve da essi tre diagnosi differenti. Questa persona quindi non sa a chi credere e sebbene qualcuno l'avesse rincuorata, non ha creduto a nessuna delle tre diagnosi.
Un uomo fa delle analisi e riceve le risposte a casa dove scopre di essere sieropositivo. Va dal medico con quel risultato, ma questo gli dice che si erano sbagliati e che il risultato ricevuto non era il suo. Ma gli dice anche, dato che è li, di ripetere le analisi per sicurezza. E questa volta risulta davvero sieropositivo. Questo servì a comprendere la decodificazione, poiché se la sua biologia era stata in grado di creare la malattia, avrebbe potuto anche guarirla. Alle analisi successive risultò sieronegativo.


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La priorità del terapeuta è di scandagliare questo conflitto diagnostico.
Occorre chiedere alla persona: «Come lo hai sentito?», «Chi te l'ha detto?», « Cosa significa questa diagnosi per te?», «Come l'hai vissuto?»
Prima di trattare il conflitto della malattia che viene a decodificare, si deve trattare il conflitto diagnostico.
Il conflitto diagnostico non è necessariamente scatenato da un medico, ma a volte può essere dato da un'altra persona, un veggente per esempio.

Protocollo per il Conflitto da Diagnosi

Si impiegherà la linea del tempo per lavorare con la diagnosi, si impiegherà l'istante di ancoraggio per vedere come si sentiva prima di ricevere la diagnosi e in quale momento preciso ha ceduto il potere. Non è come cercare il risentito, ma di conseguire la credenza che sta ricevendo con la diagnosi.
Il modo di recuperare il potere può derivare dalla sofrologia o dall'ipnosi, o qualsiasi tecnica che possa riportare il ricordo di qualcosa di positivo e gioioso per la persona.

Il protocollo si deve completare con questa presa di coscienza.

Si tratta solo di una credenza, perché se osserviamo attentamente, sul pianeta ci sono persone che sono guarite da numerose malattie, anche le più terribili. La probabilità non è una certezza!
Nella Biodecodificazione si è scoperto che non è possibile lavorare sul primo shock biologico, se non si è risolto il conflitto da diagnosi, perché la persona è intrappolata in una credenza: "Sarò malato tutta la vita...", "Sarò un invalido...", "Morirò...".
Come terapeuta ciò che si può dire non ha valore, nemmeno lo sente perché si trova in uno stato di shock. Anche il tempo non esiste più.
Pertanto, in terapia, occorrerà lavorare cronologicamente su questo shock da diagnosi. La questione non è sapere se sia vero o falso, ma ciò che la persona ha sentito quando il medico ha emesso la sua diagnosi. Potrebbe piangere, arrabbiarsi, terrorizzarsi...
Poi la si fa lavorare sulla linea temporale in modo che veda se' stessa di fronte al medico, assisteremo ad una infantilizzazione. "Questo dottore o terapeuta, o medium, è più di me, è un'autorità e io allora torno bambino". Questa infantilizzazione ragiona in questo modo: "Non so niente e sono di fronte a questa persona che lo sa".


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Questo protocollo è molto interessante perché permette di passare dal bambino all'adulto. È qualcosa che già conosce e che ha già fatto, in quanto la relazione con l'autorità è come la relazione tra padre e figli. Il protocollo propone la creazione di una relazione adulta. Propone di udire le parole del medico, ma senza dimenticare che la persona ha le proprie opinioni.
Se il medico non conosce bene ciò che ha la persona, questa può stare tranquilla, non ha uno shock, quindi non cade nel conflitto della diagnosi.
Altre persone potrebbero vivere tutto questo in modo opposto: "Se il medico non conosce quello che ho, deve essere molto grave!"

Il relazione al conflitto da diagnosi ricordiamo che: È impossibile, o difficile, lavorare sul conflitto della malattia manifestata, quando c'è sotto il conflitto da diagnosi.

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